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IL PIEMONTE CHE POCHI CONOSCONO

Prima di iniziare con la descrizione di questo itinerario, volevo raccontarvi le cause che mi hanno portata in una località lontana da casa per ben due volte nel giro di pochissimi giorni.

Il primo è la tesi di laurea, iniziata in quei mesi, che ha fatto sì che venissi a conoscere una parte della mia regione che quasi ignoravo. Stavo infatti seguendo un progetto sulla realizzazione del Catasto Pastorale in Valle Ossola – Val Formazza, che ha come fine ultimo quello di arrivare alla caratterizzazione del Formaggio Ossolano. Nel corso dell’Estate 2000 ci siamo quindi spostati dal fondovalle verso gli alpeggi più alti, fino al confine con la Svizzera, facendo rilievi sulla vegetazione.

Quanti possibili itinerari in bici vedevo di continuo intorno a me… La salita al passo San Giacomo, la strada che sale nel bosco fino ad Agarina… Ma le priorità in quel momento erano di altro genere, quindi ero ormai rassegnata ad aspettare il prossimo anno. Alla fine invece un’occasione si è presentata anche subito!

Tornata a casa alla fine della settimana, disfo lo zaino e faccio per prendere il preziosissimo rullino delle foto. Per me sono un momento importante: potrò rivivere gli attimi fissati sulla pellicola… Ma il rullino non c’è! Panico. Disperazione. Nella mente ripassano gli attimi fatidici. Clic, ultima foto. Seduti in un prato, si sta segnando sulla mappa il lavoro di quella giornata.

Tolgo il rotolo, ne metto uno nuovo, quello completato va nel suo contenitore in plastica… e poi? E poi è rimasto là!

Cosa fare? Che domande, vado a prenderlo. Il posto so dov’è.

E, visto che si presentava come perfetto itinerario in bici, perché non approfittarne? Mi accompagnano i miei genitori, che così avranno l’opportunità di vedere un angolo di Ossola (e mi aiuteranno nella ricerca).

Com’è finita? Lo vedete anche voi, le foto sono qui stampate, la ricerca dell’ago nel pagliaio (mai figura è stata più calzante!) ha dato i suoi frutti.

Parto in bici da Domodossola, seguendo le indicazioni per la Val Bognanco. La prima parte del percorso si svolge su asfalto, lungo la strada che costeggia prima il fiume, poi inizia a salire sul versante, curva dopo curva, verso San Bernardo.

L’aria fresca del mattino ci porta ad avanzare veloci, attraversiamo i paesi dove i primi turisti escono per andare a comprare il pane. Dalle panetterie arriva un odore invitante… Da segnalare l’ottimo pane dolce, di farina integrale, con frutta secca!

Fiori ai balconi, vecchie case in pietra secondo lo stile tradizionale, ma anche costruzioni più moderne. A Bognanco le auto dei turisti sono ancora più numerose, questa è infatti una rinomata località termale.

I tornanti nel bosco sono intervallati da lunghi mezzacosta, e di fianco a noi si alternano prati falciati, fieno che asciuga al sole, gruppi di case e scorci sul fondovalle. Nei piccoli centri che superiamo non mancano le fontane per far scorta di acqua. Adesso fa caldo e si suda. Guardo un po’ preoccupata le nuvole in direzione della mia meta, ma per fortuna si rileveranno solo nebbie passeggere.

Due giorni prima, in macchina, la strada mi era sembrata più breve! Bisognerebbe fermarsi a scattare delle foto alle caratteristiche abitazioni in pietra, alcune ormai abbandonate, ma non sono nello spirito giusto per dedicarmi alla fotografia. Altre immagini sono più importanti, e mi preme recuperarle al più presto.

Un ponte su di un profondo vallone, e la salita continua verso Varcencio, Cimalora, fino a San Bernardo, dove finisce temporaneamente l’asfalto. Sono già piuttosto stanca, ma quest’anno ho avuto poco tempo per allenarmi (e si sente!). Però so che la parte più impegnativa in realtà sta per arrivare.

Dopo essermi dissetata alla fontana nell’area attrezzata alla mia destra, imbocco la strada in leggera discesa (chiusa al traffico) davanti a me, seguendo le indicazioni per l’Alpe Monscera. Nel bosco di abeti e larici prima si scende, poi si passa un ponte (e non posso fare a meno di guardare la limpidezza dell’acqua nelle pozze alla mia sinistra). Ecco però il tratto più duro, su cui si era scommesso comodamente seduti a bordo di un fuoristrada. “Come sarebbe, da fare in bici?”

Adesso lo scopro! Questi tornanti sono stati asfaltati per poter facilitare l’accesso alle case di Arza, un paio di km più a monte. Sono molto stretti, e dalla pendenza proibitiva, sicuramente superiore al 15%. Con il rapporto più agile, mi preparo ad affrontarli, sperando di non incrociare una macchina, e maledico silenziosamente (non avrei il fiato per farlo ad alta voce!) le canalette trasversali per il deflusso dell’acqua, vera trappola per il mio ritmo già incerto.

Pedalata dopo pedalata, anche questo ostacolo è superato. Ad Arza mi fermo a riprendere fiato e mangiare una barretta. Proseguo sempre sulla strada principale, e tra poco ritroverò lo sterrato. Il fondo, da questo punto in poi, è spesso costituito da grosse pietre smosse, che cerco di evitare tenendomi sul bordo della strada. La pendenza non aiuta, ma so che la meta non è più lontana. Tra rododendri, larici ed abeti, proseguo mulinando sui pedali, fino ad avvistare le montagne ed i ghiacciai oltre il confine svizzero. Le nuvole si sono aperte e c’è un bel sole; sta per iniziare la ricerca del rullino smarrito! Ancora due curve in cui il fondo peggiora ulteriormente, e siamo all’Alpe Monscera.

A questo punto, io raggiungo a piedi il prato dove, dopo una lunga e meticolosa ricerca, posso cantare vittoria.

Invece il biker che non abbia simili necessità, prosegue subito imboccando una pista erbosa che sale dolcemente tra i pascoli proprio sopra l’alpe. Il tracciato è chiaramente visibile fino in prossimità del Passo di Monscera, che raggiungeremo con facilità… non senza aver chiesto strada alle vacche che pascolano placide e guardano con imperturbabile tranquillità il nostro passaggio.

La fioritura di metà luglio è un vero spettacolo. Nonostante le ultime settimane siano state esclusivamente a base di erbe e fiori, riesco ancora a godermi la loro bellezza. Peccato solo per gli onnipresenti piloni dell’alta tensione, che deturpano insieme alle imponenti dighe ogni angolo di queste valli.

Dal laghetto appena sotto il colle, proseguo con la bici a mano per gli ultimi metri. Adesso posso affacciarmi sulla vallata svizzera ed ammirare i ghiacciai sulle cime che la sovrastano.

Possiamo decidere se pranzare qui, oppure, se siamo saliti leggeri e senza grandi rifornimenti, seguiamo il sentiero che taglia tra i rododendri, e, divertendoci tra pietre e radici, in pochi minuti saremo nuovamente sulla strada sterrata che avevamo abbandonato all’Alpe. Avanziamo ancora in direzione opposta, per raggiungere dopo alcuni saliscendi il Rifugio Gattascosa, recentemente ristrutturato. Un tempo anche questa era un’alpe, come testimoniano i resti della vasca in pietra proprio davanti al rifugio.

Qui termina il nostro itinerario. Dopo esserci rifocillati e dissetati, non ci resta che ripercorrere la strada fino all’Alpe Monscera, e di qui lungo il percorso dell’andata. Ci sarebbe un sentiero che dal rifugio scende a San Bernardo, ma la pedalabiltà in discesa non supera il 25-30% per un ciclista non troppo esperto nelle discesa tecniche!

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Provato nell'Agosto 2000.

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