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| OCCITANIA: MULATTIERE IN ALTA QUOTA
"M'agradavo
vioure ilamoun. L'aire ero bono, l'aigo ero bono... Ilamoun l'aiguio volo..."
(Mi piaceva vivere lassù. L'aria era pura, l'acqua era buona. Lassù l'aquila
vola... - da un'intervista a Giovanna Giavelli - Nuto Revelli "Il mondo dei
vinti"). Aria ed acqua buona, ma, aggiungo io, anche paesaggi
da lasciare a bocca aperta, che fanno dimenticare la fatica e recuperare le
forze, spingendoci a proseguire di colle in colle. Questi itinerari infatti si
snodano su antiche strade militari, che corrono in quota dopo una salita
iniziale con partenza dal fondovalle. Spaziosi altipiani erbosi, il bianco delle
rocce calcaree, l'imponenza di Rocca la Meja e del Monviso... E questo non è un territorio di appartenenza
esclusiva dei bikers, ma ha visto il passaggio di gare su strada di lunga
tradizione: raggiungeremo infatti il Colle di Sampeyre (2284 m), su cui è
transitato il Giro d'Italia nel 1995, ed i colli Valcavera (2416 m) e Fauniera
(2515 m), resi famosi dal Giro del 1998 e da successivi avvenimenti a metà tra
la cronaca e lo sport... Queste montagne, dove aspri rilievi e
repentini dislivelli con il fondovalle si alternano ad ampi bacini più in alto,
delineano le cosiddette Valli occitane. Sono parte di quella "nazione
negata" dei paesi d'Oc, che si estende da queste propaggini piemontesi
delle Alpi fino al Golfo di Guascogna, comprendendo Provenza, Pirenei,
Linguadoca, Aquitania. Valle Varaita, Valle Stura, Valle Grana e Valle Maira
hanno conosciuto fortune e dominazioni diverse nel corso dei secoli: tutte hanno
lasciato il loro segno, ma il denominatore comune è soprattutto la lingua. Nata
prima del Mille, quando il latino andava via via stemperandosi nella parlata
locale, la Lingua d'Oc si diffuse nel Sud della Francia, e di qui venne portata
in terra piemontese dai mercanti e dai superstiti della crociata contro gli
Albigesi (seguaci dell'eresia catara, che vivevano nella zona di Albi, contro i
quali venne indetta una crociata nel 1208). Principale punto di passaggio era (ed è) il colle
della Maddalena, ma anche i sentieri che attraversano queste valli, un tempo vie
di contrabbandieri ed emigranti. Oggi vengono ripercorsi con il "Roumiage
de setembre", una delle più caratteristiche feste della tradizione
provenzale, che si svolge tra la fine di Agosto e gli inizi di settembre. La
partenza è a Larche, in Alta Provenza, e si arriva a Sancto Lucio de
Coumboscuro, attraversando i valloni e le creste delle valli Maira, Grana e
Stura. Qui si tiene una serie di manifestazioni, dalla messa in lingua
provenzale al falò inaugurale, in cui viene bruciato un fantoccio di stracci
simboleggiante l'estate, tutto sulle note delle musiche caratteristiche: courento,
gigo, balet, boureo... Questa è una cultura che affonda le sue radici al di
là della dominazione romana, quando erano le tribù celto-liguri ad abitare
queste regioni. Periodo di maggior unità fu quello della Repubblica degli
Escartouns, negli anni tra il 1343 ed il 1713, che vedeva Briançon come
capitale. Le montagne, spesso aventi un ruolo di barriera e di
confine naturale, in questo caso hanno contribuito ad unire il popolo
provenzale. Un grande aiuto, senza dubbio, è stato dato anche dai Trovatori,
grandi diffusori della lingua d'Oc e delle musiche tradizionali. E' proprio la
musica che ha permesso, negli ultimi anni, una maggiore diffusione di questa
cultura anche al di fuori delle valli: non solo quella suonata nelle feste
tradizionali (Bahio di Sampeyre, Roumiage...), ma anche quella dei gruppi "
giovani " che, talvolta rielaborandola in chiave moderna, l'hanno portata
al cospetto del grande pubblico; ricordiamo allora i Lou Dalfin, i Troubaires de
Coumboscuro, i Gai Saber KM, i Lou Seriol, solo per fare qualche nome. All'incrocio di tre Valli Nel mio caso, queste sono state le due tappe: Vignolo - Roccasparvera - Gaiola - Demonte - Vallone dell'Arma - Colle
Valcavera - Colle Fauniera - Colle d'Esischie - San Magno - Campomolino -
Pradleves - Valgrana - Caraglio - Cervasca - Vignolo Alla nostra sinistra un campo blu di lavanda, a
destra un profondo vallone e montagne coperte di alberi. Le fontane non mancano,
in questo tratto: le troviamo nei villaggi di Fedio, San Maurizio, Trinità e
San Giacomo, ultimo centro abitato che incontriamo. A mano a mano che saliamo,
la vegetazione cambia ed i boschi lasciano il posto a prati. Nella bassa valle
rispondiamo al saluto dei contadini intenti a tagliare il fieno, poi è la volta
dei pastori che badano alle mucche. La valle si apre e saliamo rapidamente grazie ad una
serie di tornanti. Non posso fare a meno di ripensare a quella bella tappa del
Giro in cui Paolo Savoldelli si involava proprio lungo questa discesa, per
andare a vincere molti chilometri dopo a Borgo San Dalmazzo. Il panorama si fa più ampio ed arriviamo in
prossimità di un alpeggio, dove c'è l'ultima fontana: meglio sfruttarla al
massimo, dato che sarà l'ultima che troveremo per parecchi chilometri. Sulla
destra, in caso di maltempo, possiamo approfittare del rifugio Carbonetto,
aperto durante tutta la settimana nel mese di Agosto. Non è la prima volta che vengo da queste parti, ma
oggi non posso godere appieno del paesaggio, infatti le nebbie formano già un
soffice materasso che ricopre la bassa valle ed anche le cime intorno a me
iniziano a nascondersi. Verso il Colle Valcavera il cielo è ancora azzurro,
quindi recupero le forze per arrivare in tempo e scattare una bella foto. E' la
metà di Luglio e la flora alpina è al massimo del suo splendore: rosa, giallo
e verde, rocce calcaree bianche e grigie, peccato che il cielo stia
coprendosi... Negli ultimi 100 m c'è ancora un nevaio a lato della
strada: questo itinerario è infatti praticabile solo dai primi giorni di
Luglio, soprattutto in anni di abbondanti nevicate. Dal Valcavera lo sguardo
spazia verso quella che sarà la nostra seconda tappa, infatti qui finisce
l'asfalto e la carrozzabile ex militare si snoda bianca tra i prati, compiendo
ampie curve a mezza costa. La conformazione geologica di queste terre dà al
luogo un aspetto quasi lunare: il fenomeno del carsismo è chiaramente
dimostrato dalla mancanza d'acqua. Lasciato lo sterrato dietro di noi,
continuiamo in un paesaggio desolato, la strada compie un ultimo strappo
impegnativo per arrivare al Colle Fauniera (2511 m), il nostro GPM. Oggi il
tempo non è dei migliori, altrimenti il sole che batte a picco sulle nostre
spalle tra le due pareti di roccia bianca ci avrebbe aiutati meglio a capire il
nome della località: Vallone dei Morti. Ci aspetta una prima parte di discesa, al Colle di Esischie, dove svoltiamo a destra, verso la Val Grana. Purtroppo, dopo poche curve ci infiliamo nelle nebbie, per cui non possiamo ammirare il paesaggio, e non vediamo la tanto attesa fontana. Chiediamo indicazioni ad un alpeggio, dove sventola la bandiera occitana, e gentilmente ci vengono riempite le borracce. Il marito della signora che ci accoglie sta facendo il formaggio: questa è la terra di origine del Castelmagno, uno dei prodotti più conosciuti della zona, esportato in tutto il mondo. Sempre avvolti nella nebbia, raggiungiamo un'altra
fontana, sul lato destro della strada. Ancora
discesa, poi improvvisamente davanti a noi si staglia
l'imponente edificio del santuario di San Magno (1761 m). Il nucleo più
antico dell'opera, la Cappella Allemandi, risale al 1475, ma il culto di San
Magno ha origini molto più remote: si ipotizza che possa risultare da una
sovrapposizione di un culto cristiano ad un precedente culto pagano locale. Meta
di pellegrinaggi, l'edificio venne completato nella forma in cui può essere
oggi ammirato agli inizi del 1700. La salita che porta a Castelmagno è particolarmente
impegnativa, con strappi che superano il 10%: noi per fortuna la affrontiamo nel
senso inverso, perdendo rapidamente quota. Attraversiamo diversi centri abitati
e, prima di Monterosso Grana, vediamo alla nostra destra il bivio per Santa
Lucia di Coumboscuro, "capitale" culturale dell'Occitania. Prima della pianura ci aspetta ancora un tratto
particolarmente pittoresco, dove la strada fiancheggia il torrente Grana in una
stretta gola. Poi non ci resta che spingere sui pedali per raggiungere Caraglio,
e di qui, svoltando a destra in direzione Borgo San Dalmazzo, Vignolo, dove si
conclude il nostro itinerario di circa 90 Km. Ponte Marmora - Vernetti - Canosio - Preit - Servino - Colle del Preit - Passo di Gardetta - Colle Cologna - Colle Margherina - Colle Valcavera - Colle d'Esischie - Tolosano - Vernetti - Ponte Marmora In questa seconda tappa i miei accompagnatori sono
tre bikers. I primi 12 Km e l'intera discesa sono su asfalto, ma la parte
centrale segue le mulattiere militari, per il momento ancora sterrate. Negli
ultimi dieci anni infatti è proseguito il lavoro di asfaltatura su queste
strade: ciò ha favorito i colleghi stradisti, ma ci ha privati del piacere di
percorrere una lunga traversata in quota sulle carrozzabili ex-militari
tracciate a partire dalla metà del 1800. Un tempo questa rete era molto più
estesa, ma ora alcuni tratti, come quello che porta al Colle del Mulo (2527 m) o
al Colle Oserot (2640 m) sono impraticabili a causa delle frane. Riempiamo le borracce alla fontana di Ponte Marmora,
punto di partenza del nostro itinerario. Per fortuna il cielo è blu e, almeno
per oggi, l'afa che ci tormentava in pianura è dimenticata. All'ombra e
costeggiando un fresco torrente raggiungiamo senza troppa fatica Vernetti, dove
ci teniamo sulla destra, seguendo le indicazioni per Canosio. La salita si fa più
impegnativa, delle brevi rampe ci permettono di guadagnare quota ed arrivare a
Preit. Sulla nostra destra ecco l'ultima fontana prima di arrivare al Rifugio
Gardetta, sarà meglio provvedere ! Dopo 12,3 Km i nostri bikers smetteranno di
brontolare, dato che inizia il tanto sospirato sterrato. Il fondo presenta un
caratteristico colore bianco, non è troppo compatto, e questo non ci aiuta nel
superare gli strappi che portano al Colle del Preit. Alla nostra destra, dopo
Servino, si apre uno stretto vallone, interamente occupato dai ghiaioni; a
sinistra invece torreggia Rocca la Meja (2831 m). Oggi avremo modo di osservarla
e fotografarla da diverse angolazioni, tutte ugualmente suggestive. Non fosse per il cartello, non ci accorgeremmo di
essere arrivati al Colle del Preit: davanti a noi però
il paesaggio si apre, non più boschi, ma prati e
pascoli. Abbiamo superato i 2000 m, ma c'è ancora tanta strada da percorrere... Al bivio ci teniamo sulla destra, seguendo l'indicazione per il Rifugio C.A.I. della Gardetta oppure, se la nostra borraccia è ormai vuota, scendiamo per un breve tratto nella conca per raggiungere l'azienda agrituristica "La Meja". Pochi tornanti e sotto di noi, tra l'erba verdissima,
un bel laghetto destinato ad asciugarsi negli anni di scarse precipitazioni. Una
foto con l'onnipresente Rocca la Meja sullo sfondo nel mio caso è
d'obbligo, anche se due dei miei accompagnatori non si sono
fermati (la foto qui pubblicata invece è successiva, questa volta il lago è
secco ed i pascoli sono gialli). Un nuovo
bivio, la strada continua a salire ed il fondo peggiora: questa è una vera
mulattiera, con le pietre ancora piantate di taglio nel terreno... coraggio, non
manca molto. Continuiamo sulla destra, ed alle pietre bianche per un breve
tratto si sostituiscono rocce di un curioso colore viola. Ormai siamo in vista
del rifugio, dove la compagnia si riunisce ad affrontare il meritato pranzo. Il
Rifugio, ricavato dalla ristrutturazione di un ricovero militare tra quelli che
si trovano sull'altipiano di Pianesio, risalenti alla guerra del 1940, è aperto
dai primi di Giugno alla fine di Settembre. Qualcuno non ci crede, eppure i chilometri affrontati
fino ad ora non sono neanche 20. E adesso? Ancora un Km circa e siamo al passo
della Gardetta (2437 m), da cui possiamo godere di una splendida vista a 360°.
Davanti a noi il sentiero della GTA scende nel Vallone di Unerzio e le aspre
montagne, tra cui la cima dell'Oronaye (3100 m) segnano il confine con la
Francia. Torniamo sui nostri "passi" (non senza
esserci prima fatta scattare una foto di gruppo), scendendo nuovamente
nell'ampio pianoro dove avevamo sostato in precedenza; la mulattiera, il cui
fondo peggiorava già nei tornanti che portano al passo, invece prosegue verso
il passo di Rocca Brancia e dell'Oserot e si fa via via impraticabile a causa
delle frane e della notevole esposizione sulla valletta sottostante. Il cielo inizia a coprirsi e le nuvole sembrano
concentrarsi in direzione della nostra meta. Tornati al punto in cui
precedentemente abbiamo svoltato, prendiamo ora la strada che, con un lungo
mezza costa, ci porta al Colle Cologna. In questo tratto sulla nostra destra
troviamo due fontane di acqua freschissima, che sgorga dalle rocce calcaree,
caratteristica questa tipica delle zone carsiche, in cui l'acqua compare
all'improvviso, per poi sparire altrettanto repentinamente. La nostra fatica (peraltro ben ripagata dallo
splendido panorama a tratti quasi dolomitico) non è ancora terminata: un
rilassante falsopiano ed un fondo abbastanza buono ci portano al Colle
Margherina, dove si impone la necessità di una nuova foto avente come sfondo...
Rocca la Meja. Siamo nel punto ad essa più vicino e di qui parte il
sentiero che permette di raggiungere la vetta. Questa volta non fa per noi,
magari ci ritorneremo nelle vesti di escursionisti... Un altro falsopiano, in cui la strada bianchissima
contrasta con il verde intenso dei prati, ci porta ad un piccolo complesso
fortificato, ormai in rovina, oltrepassato il quale, in località Colle della
Bandia, troviamo una fontana, ultima possibilità di rifornimento di acqua per
diversi chilometri. Qualche centinaio di metri ed alla nostra sinistra
vediamo il bivio per il Colle del Mulo. Proseguiamo ormai quasi nella nebbia, ed
una serie di tornanti sale al Colle Valcavera dove, attraversando uno stretto
passaggio tra le rocce, ci affacciamo sul Vallone dell'Arma. Basta salite? No,
ne manca ancora una, ma prometto che è l'ultima. Non dobbiamo più cercare la
via più agevole per le nostre ruote, dato che siamo ormai sull'asfalto. Le
nuvole rendono meno impegnativo il superamento del Vallone dei Morti (vedi la
tappa 1), ma ci privano di una splendida vista. Raggiunto il Colle Fauniera dopo
circa 37 Km dalla partenza, posso finalmente dire agli amici bikers: "Sì,
le salite sono finite". Giù in picchiata verso il Colle del Vallonetto e poi
il Colle di Esischie, dove la nebbia, adesso ancora più fitta, rischia di farci
sbagliare strada. Al bivio la curva a sinistra è a gomito, una brevissima rampa
ed eccoci affacciati (se si vedesse qualcosa!) sul Vallone di Marmora, mentre
alle nostre spalle lasciamo la Val Grana (tappa 1). E' sempre più buio, ma la strada è libera e ben
visibile; le curve pericolose sono segnalate e la nostra planata procede
rapidamente. Per quel poco che posso vedere, ai prati man mano si sostituisce il
bosco e spiccano ai bordi chiazze di rododendri, ormai sfioriti. Quando
raggiungiamo i "Gias" (come
qui vengono chiamati gli alpeggi) usciamo dalle nuvole e la visibilità
migliora. Una serie di tornanti nel bosco ci fanno perdere rapidamente quota.
Per fortuna abbiamo affrontato l'itinerario in questo senso, al contrario
sarebbe stata più dura... La strada continua a scendere attraversando numerose
borgate, dove notiamo le caratteristiche case in pietra. Il calore del
fondovalle ci fa rimpiangere l'aria dei 2500 m che, fino a pochi minuti fa, non
ci ha fatto sentire la forza del sole. A Vernetti ci ricongiungiamo con la
strada percorsa al mattino ed in poco tempo siamo a Ponte Marmora, dove la
nostra fatica ha termine dopo 60 Km. Attenzione solo alle due brevi gallerie
(non illuminate) dopo Vernetti.
Busca -
Colletto di Rossana - Colle di Valmala - Colle della Ciabra - Colle Birrone -
Colle di Sampeyre - Colle della Bicocca - Colle di Sampeyre - Elva - Stroppo -
San Damiano Macra - Dronero - Busca Questa nostra terza tappa nelle valli occitane è
caratterizzata da un alto chilometraggio, per cui la si può suddividere a
piacimento in due parti; l'ideale sarebbe poter usufruire di... un'ammiraglia
che venga a recuperarci al termine della discesa, per evitarci il lungo ritorno
su asfalto. Raggiunta Busca, usciamo dal paese seguendo le
indicazioni per la Valle Maira e svoltiamo a destra dove viene segnalato il
Colletto di Rossana. Un paio di ampi tornanti nel bosco ci portano al colle (617
m), il primo di una lunga serie; lo oltrepassiamo e subito sulla sinistra
vedremo le indicazioni per un ristorante, per noi unico punto di riferimento,
dato che durante tutto il nostro percorso sarà costante questa mancanza di
segnaletica adeguata. La strada prosegue salendo gradatamente, all'ombra di
grossi castagni e fiancheggiata dalle felci, fino a diventare sterrata. D'ora in
poi si susseguiranno per alcuni chilometri tratti pianeggianti, con buon fondo
battuto, e pendenze maggiori, dove le piogge hanno inciso il terreno e riportato
allo scoperto le pietre dell'antica mulattiera militare. Avanziamo con qualche
difficoltà nei tratti più rovinati, evitando le strade (non segnalate) che
scendono ora su di un versante, ora sull'altro: siamo sullo spartiacque tra la
Val Maira e la Valle Varaita e queste potrebbero essere possibili "vie di
fuga" in caso di maltempo, ma la mancanza di precise indicazioni ci
suggerisce di avanzare ancora. Purtroppo la nebbia ci sta avvolgendo e non
possiamo godere della vista sulla pianura e sulla catena alpina; un buon punto
panoramico sarebbe la cima da cui i deltaplani si buttano nel vuoto, che
troviamo alla nostra sinistra. La mulattiera continua a salire ed incrociamo una
carrozzabile in terra battuta, su cui ci immettiamo. Dato il maltempo, noi
svoltiamo a destra, per raggiungere Lemma, Rossana e di qui tornare a Busca. Proseguendo a sinistra, delle dure rampe ci portano
al Santuario di Valmala (1379 m), da cui continuiamo su asfalto per raggiungere
l'omonimo colle (1541 m). Superate queste ultime asperità, ci troviamo
nuovamente a seguire la carrozzabile militare, che con un lungo traverso ci
porta al Colle della Ciabra (1723 m), dove termina il nastro asfaltato. Dopo aver abbandonato a causa del cattivo tempo, noi
abbiamo ritentato l'impresa salendo da Dronero. Alla difficoltà rappresentata
dai 900 m di dislivello si somma quella della ricerca della strada, infatti lo
sterrato che porta al Colle di Valmala non è indicato, se si esclude un primo
cartello all'inizio della salita, quando siamo ancora su asfalto e ci
inerpichiamo tra le borgate del comune di Roccabruna. Consiglio quindi di
utilizzare questo percorso alternativo solo in discesa, come ulteriore
possibilità di "ritorno alla base" in caso di necessità. Dal colle passiamo quindi al terreno adatto alle
nostre MTB, anche se ci manteniamo sui bordi del tracciato per evitare il più
possibile le pietre della mulattiera. Questa volta la giornata è decisamente
migliore e, con l'aiuto della cartina, identifichiamo via via le cime che ci
circondano. Il Monviso sarebbe inconfondibile, non fosse avvolto dalla solita
cortina di nuvole ! Fino al Colle Birrone non ci sono problemi, la strada
presenta persino dei tratti in leggera discesa. Poco prima del passo troviamo
una fontana, appena sotto la strada sulla sinistra. Conviene fare scorta
d'acqua, dato che poi non ne avremo più la possibilità per diversi chilometri. Al colle chiediamo a due bikers francesi, che stanno
seguendo il nostro stesso itinerario (ma nel verso opposto) di scattarci una
foto. Qui finalmente c'è un cartello con il nome della località e l'altezza
(1700 m). Alla nostra sinistra una strada scende verso il villaggio di Chesta,
da cui si può raggiungere il fondovalle a San Damiano Macra. Se scegliamo di
terminare qui il nostro percorso, seguiamo la SS22
della Valle Maira che ci riporta a Busca dopo circa
55 Km. Proseguendo dal Colle Birrone, ci troviamo a pedalare
in mezzo ad un vero e proprio muro di cespugli di ontano. Il fondo è fangoso (è
piovuto molto negli ultimi giorni!), ma almeno ci viene risparmiata per un
tratto la mulattiera. Alcuni tornanti ed un lungo mezzacosta, reso
interminabile dalla necessità di trovare la via più agevole tra le pietre, ci
portano al Colle Rastcias. Davanti a noi si apre un panorama singolare: nei
raggi bassi del sole di Settembre l'erba ingiallita, le rocce grigie coperte di
licheni verdi e le macchie di brugo violetto contrastano con i boschi verde
scuro del fondovalle. La nostra salita non è ancora terminata, anche se adesso
si tratta per lo più di un lungo tratto in falsopiano, a cui si alternano
piccoli strappi impegnativi con tratti di discesa. Ne approfittiamo per una
sosta quando, sulla destra, vediamo una piccola fontana, da cui esce un debole
filo d'acqua: è piacevolmente fresca e, poco alla volta, riempie le nostre
borracce ormai vuote. Non manca molto e, dopo una risalita ed una curva, ci
affacciamo sul Colle di Sampeyre (2284 m), che raggiungiamo (finalmente!)
scendendo per un breve tratto. Alla nostra destra il Monviso, davanti a noi il
Pelvo d'Elva ed il Chersogno, a sinistra Rocca la Meja e, più lontano, il
massiccio dell'Argentera. Il colle è attraversato dalla strada asfaltata, che utilizzeremo per scendere. Chi lo volesse, può proseguire su sterrato in direzione del Colle della Bicocca, ai piedi del Pelvo d'Elva. Anche se il dislivello è inesistente, bisogna però affrontare dei saliscendi: oggi è tardi ed abbiamo già pedalato abbastanza, per cui ci buttiamo nella discesa. Più panoramico il tratto sulla Valle Maira, soprattutto per quanto riguarda il villaggio di Elva ed il vallone omonimo, altrimenti si può optare per il ritorno sulla Valle Varaita, scendendo a Sampeyre. Noi ci scateniamo sull'ottimo asfalto fino ad Elva,
dove possiamo ammirare le caratteristiche case in pietra e la chiesa, un ottimo
esempio di architettura occitana. Il fondo poi peggiora ed incontriamo le prime
gallerie scavate nella roccia, che fortunatamente sono brevi. Sarà solo
l'ultima a darci qualche problema, anche a causa del sole abbagliante che c'è
all'esterno. Ci fermiamo ad ammirare il canyon che si apre sotto
di noi: meglio non commettere errori nell'affrontare le curve, altrimenti... Non
manca molto a raggiungere il fondovalle, dove ci aspetta una sgradita sorpresa:
il vento è contrario al nostro senso di marcia, così ci tocca faticare anche
in quest'ultima discesa. La pendenza non è elevata ed incontriamo anche dei
tratti in salita in corrispondenza dei centri abitati. Forza, un bel rapporto
lungo e via ! Stroppo, Lottulo, San Damiano, Cartignano ed infine Dronero, da
dove eravamo partiti noi. Quest'ultimo tratto ci è sembrato veramente eterno;
per fortuna il traffico in Valle Maira è minore di quello della Valle Varaita. Da Dronero a Busca vi sono ancora circa 12 chilometri
di pianura.
BASSA DI NARBONA – GRANGE TIBERT Percorso: Macra (800m) – Bassura – Paschiero – Chiesa – Serre – Chiotto – Gr. di Angra – Gr. Serrato – Bassa di Narbona - Gr. Serra (2232m) Dislivello: 1450m Km: 40 (partendo da Macra) Difficoltà: adatto a ciclisti con un buon allenamento Periodo consigliato: giugno - settembre
La Bassa di Narbona, uno dei luoghi per me più affascinanti sulle "mie" montagne. Ogni volta che ci sono andata, anche se con mezzi diversi e condizioni meteorologiche differenti, mi ha lasciato negli occhi dei ricordi che le foto riescono a rendere solo in parte. Per questo itinerario, io sono partita da San Damiano Macra, tanto per scaldarmi un po’ le gambe nel fondovalle. Però chi volesse limitare la percorrenza su asfalto, potrà partire dal centro di Macra (Alma), presso il parcheggio nella piazza centrale. Seguiamo la strada principale di fondovalle per 300 metri, dopo di che svoltiamo a sinistra seguendo le indicazioni per Celle Macra. Una breve discesa ci porta al ponte sul Maira, dopo di che iniziamo la salita nel fresco del bosco, incontrando dopo 2 km il bivio per Albaretto, che superiamo procedendo lungo il corso d’acqua, attraversato il quale iniziamo ad incontrare le prime borgate di Celle. Sempre seguendo la strada asfaltata, attraverseremo Bassura e Paschiero, tra vecchie case abbandonate, nuove villette ed abitazioni ristrutturate mantenendo lo stile originale. Il bosco avanza a colonizzare pascoli ed ex coltivi, ma ancora si vedono vecchissimi alberi di pero e di melo, carichi di frutti. A Celle capoluogo (Chiesa) abbandoniamo la strada che continua a salire, passando di fronte alla bella chiesa romanica ed al Municipio. L’asfalto continua ancora per circa 1,5 km, dopo di che inizia il fondo naturale. Purtroppo ad un breve falsopiano ed una brusca salita nel bosco di abeti seguono quasi 2 km di discesa, che da Chiotto ci portano al fondo dello stretto vallone, fino ad attraversare il Bedale Tibert. Subito un po’ di riposo ci può far piacere, ma al ritorno non saremo altrettanto contenti! Raggiunto il ponte, la salita si fa decisamente impegnativa: ci aspettano circa 7 km di strada a tornanti, che dal bosco ci portano ad emergere sui pascoli di alta quota. Superato il tratto di strada più incassato, dove un torrione di roccia ci sovrasta sulla sinistra, la vista si fa sempre più aperta a mano a mano che saliamo, con il Tibert che si eleva davanti a noi. Un lungo traverso ed arriviamo ad un ponte dove la strada è chiusa da una sbarra. Ci aspettano gli ultimi 1500m di salita, ma la pendenza è meno dura del tratto precedente. Saliamo tra i rododendri, osservati dalle mandrie al pascolo, incuriosite dal nostro passaggio. Se la giornata è bella, il panorama si fa sempre più spettacolare: il Monviso, l’alta valle e, una volta giunti alla Bassa di Narbona, le Alpi Marittime, tra cui spicca l’Argentera. Il tratto finale è quasi pianeggiante, così arriviamo ad affacciarci sulla Valle Grana, pronti a goderci il paesaggio ed una meritata sosta. Le Grange Serra sono disposte lungo il crinale, una lunga fila di baite ormai in rovina, a testimoniare una passata epoca di utilizzo di questi pascoli. Oggi i pastori hanno le loro abitazioni a quote inferiori, come abbiamo potuto vedere nel corso della nostra ascesa. Nei pressi delle Grange ci sono dei motociclisti, che gentilmente mi scattano una foto. Sono sorpresi per questo mio "viaggio" in solitaria, a fine estate, ma soprattutto per la mia "provenienza", addirittura da fuori provincia!! Il ritorno avviene seguendo il percorso dell’andata, per questa volta. Ma voglio ritornare, per vedere se riesco a chiudere l'anello scendendo lungo il sentiero GTA che passa accanto a Rocca della Cernauda. Adesso è tardi, sono da sola ed inoltre inizia a fare decisamente freddo, meglio rientrare alla base!
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